“Non mi sono ancora rassegnato all’idea che un giovane debba morire per un tumore, ogni perdita è un dolore immenso”. La commozione del professor Michele Gallucci è sincera quando pronuncia queste parole, sentimenti che non ti aspetteresti mai da un chirurgo urologo di fama mondiale che immagini entrare ed uscire dalle sale operatorie con la freddezza di un automa. Eppure c’è. “Perché non puoi essere distaccato di fronte ad un paziente che con tutti i suoi timori si affida a te nel momento più difficile della sua vita”. E’ questa l’essenza di quella “umanizzazione delle cure” che ora si predica tanto in medicina, ma che il professore pratica da quando ha indossato il camice per la prima volta e che ancora contraddistingue il suo operato da primario di urologia nell’istituto nazionale tumori “Regina Elena” di Roma. Forse questione anche di Dna. Tutti a Pietragalla, nel potentino, ricordano il suo papà Gaetano, “medico condotto” si diceva una volta, che bussava alle porte delle case del paese per rendersi conto di come stessero i suoi pazienti e che “qualche volta mi mandava a portare il pezzo di carne al bambino malato”, ricorda il figlio. Dall’infanzia nel pesino della Lucania, agli studi nel collegio a Roma, alla laurea in medicina, racconta di tutto ciò il professor Gallucci tornato nel suo paese natale per ricevere dalle mani dei suoi compaesani il Premio “Palmenti”, un’ attestazione di stima ed il giusto riconoscimento ad un uomo che la sua terra non l’ha mai dimenticata, spiega a nome della comunità il primo cittadino Nicola Sabina, che ha organizzato l’evento assieme al mensile di informazione locale “Riflessioni” e alla locale pro loco. Così il professore, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, si racconta senza lesinare aneddoti. Compreso quello sull’ esame di anatomia, svolto dopo lo storico mondiale, “ quello di Italia- Germania 4 a 3”, specifica Gallucci. “ Fu in quell’occasione cominciai ad appassionarmi all’urologia- spiega lo specialista – il professore che mi stava esaminando continuava a dirmi in romanesco ‘A Gallucci tu el rene nun lo sai’, spingendomi così ad approfondire i miei studi su quell’organo. Lo stesso professore venne da me, anni dopo, perché doveva farsi operare un tumore importante e io gli dissi tranquillizzandolo ‘ il rene me lo sono imparato, fidate’.
Ai compaesani, racconta anche dei progressi dell’urologia, dell’importanza dell’utilizzo dei robot, della chirurgia mininvasiva, del futuro della professione tanto amata che insegna nelle scuole di specializzazione, nelle università e negli stage. “ E’ importante che i giovani imparino a fare bene questo mestiere, ma è altrettanto indispensabile che vadano avanti nella ricerca”. Poi la conclusione rassicurante: a chi gli chiede cosa ci sia nel suo futuro il professore risponde “Sicuramente ancora tanto lavoro”.